La narrativa del cambiamento climatico non è ancora stata adottata e questa è una delle ragioni per cui ancora non viene percepito come reale e attuale. Tutti i termini utilizzati per descrivere i cambiamenti evidenti registrati nel clima del pianeta hanno una caratteristica in comune: danno l’idea di un evento eccezionale e unico. Che siano straordinari è certo, ma che non lo rimarranno è comprovato. Le bombe d’acqua, le forti piogge, gli uragani e le inondazioni non sono più eventi conseguenti ad una serie di casualità coincidenti, ma sono ingranaggi di un meccanismo di cambiamento che è già in essere. La retorica dell’occasionalità protegge l’opinione pubblica dall’unica cosa da cui non deve essere protetta: la reale condizione dell’ecosistema.
Godere di una narrazione del genere è forse uno dei più grandi privilegi del nostro tempo. Vivere in un paese abbastanza ricco e talmente ben posizionato da poter raccontare di eventi isolati è un lusso che milioni di persone non hanno e che miliardi non avranno se non cambieremo radicalmente il nostro modus vivendi. Per Palermo si è trattato di una Bomba d’acqua, per Dhigurah si tratta di un metro di spiaggia crollato nel mare a fronte di una larghezza massima di appena 200 metri.
Se l’acqua alta di Venezia trova spazio sulle copertine delle testate giornalistiche di tutto il mondo è perché a chi abita nel Nord del Mondo, soprattutto ai bianchi, non importa poi molto di sapere che il Bangladesh sta letteralmente svanendo sotto l’avanzata del mare. Una popolazione destinata a perdere la vita o la casa è meno interessante e certamente più abbruttente delle foto dei turisti a Venezia con le galosce al ginocchio. Ed ancora, i deserti che inglobano km di territorio, i pozzi d’acqua che si prosciugano o peggio, che diventano velenosi a causa delle attività estrattive dislocate nei pressi, le ondate di calore che uccidono intere fasce di popolazione povera sono sempre meno fotogeniche delle spiagge italiane e dei “famosi” che ogni tanto si fanno fotografare mentre raccolgono un po’ di plastica, nell’intervallo tra uno spritz e una cena di pesce.
Il racconto dell’eccezione si sposa bene con la retorica del passetto alla volta e del greenwashing che suggerisce a chi è abbastanza ricco da non soffrire ancora per il cambiamento climatico che, infondo, non deve fare poi tanto. Giusto un acquisto un po’ più green come suggerisce l’influencer di fiducia. Ormai anche la sostenibilità è stata squarciata ed eviscerata, ne sono state selezionate le parti meno spaventose e sono state imbellettate e servite nella narrativa delle piccole cose. Si usa il termine green perchè vende, ma in realtà green vuol dire solo verde.

E tutto può essere verde, ma non sostenibile. Non si dice che un’alimentazione vegana è sostenibile, perché altrimenti si perde pubblico e agli influencer non piace perdere pubblico, senza di esso loro nemmeno esisterebbero. E quindi la giostrina della vita verde e del passetto alla volta aiutano il mondo privilegiato a pagare la sua dose di indulgenze, senza per questo avere un impatto reale.
E questo ci riconduce all’altro problema sostanziale della grammatica del cambiamento climatico. Il passetto alla volta e le bombe d’acqua, hanno qualcosa di osceno in comune: la deresponsabilizzazione.
Essendo cose da poco ed occasionali non richiedono un’azione vera e coerente, orchestrata a più livelli, ma si limitano a scaricare sui cittadini il compito di fare qualcosa, nei limiti delle loro possibilità. La narrativa del casuale e del non causale spinge le persone a sentire il dovere di compiere piccoli gesti consapevoli, diventare consumatori consapevoli, senza fare grossi cambiamenti, eradicandone gli sforzi e slegandoli da ciò che manca all’equazione, il fattore che potrebbe realmente cambiare la sorte e la gestione di quella che è, anche se non percepita, e sarà la più grande crisi del secolo, una cosa semplice e fondamentale: l’azione politica. Senza politica, senza azione istituzionale, tutto ciò che si ottiene è un’altra filiera di consumo, magari meno peggiore, ma certamente non sostenibile perché pur sempre asservita al modello capitalista.
Alla politica, ai partiti, all’establishment conviene questa retorica, tant’è che è proprio questa ad essere premiata, poichè offre loro uno scudo dietro cui parare la loro assoluta impreparazione alle sfide che bisogna affrontare.
La politica è ciò che realmente può generare un cambiamento su larga scala. Basti pensare al Protocollo di Kyoto con cui si volevano ridurre le emissioni, fallito per la mancata partecipazione degli USA e per il legame apparentemente indissolubile tra il nostro sistema produttivo e le emissioni che esso produce. Il protocollo di Montreal, al contrario, è stato un successo proprio perché le potenze del mondo hanno agito in concerto per arginare il deterioramento dell’Ozono. Due protocolli due esiti diversi. La politica, il potere dei governi e le loro scelte hanno un potere notevole sulle sorti del mondo, perciò non possiamo correre il rischio di dimenticarli e non chiedere loro di agire.
La narrativa del cambiamento climatico è dura, brutale e impone ai singoli, ai gruppi, ai collettivi, agli stati e alle coalizioni di Stati di agire, subito e drasticamente.
Non vende, non piace, non promette guadagni, né facili chiacchiere per diventare famosi, ed è per questo che non viene implementata. Ecco perché oggi parliamo ancora di forti piogge, di eventi casuali e non di ciò che sta accadendo, pardon, di ciò che è accaduto. Il clima è cambiato e noi ne siamo responsabili. Se tutti coloro abbastanza privilegiati da poter operare scelte di consumo e politiche agissero di conseguenza avremmo una reale possibilità di salvare il mondo e chi lo abita.
Non solo chi lo abiterà e dovrà pagare il prezzo della nostra ingordigia, ma chi lo abita oggi e in questo momento si ritrova senza una casa a seppellire i propri genitori morti in un’inondazione. Chi non sa leggere ma ha quei due fratellini sopravvissuti al crollo della casa a cui badare ed è preoccupato perché uno di loro ha la febbre, non sente i sapori e ha una tosse che pare il risucchio dell’acqua quando refluisce in mare. Quel chi, che è probabile che finisca nella tratta degli esseri umani per essere vendut*, senza aver mai saputo che quello che ha contratto dal fratello ha tenuto la gente dei paesi ricchi chiusa in casa a lamentarsi perché non poteva più fare shopping in pace sotto Natale.