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Il femminismo è sostenibile? La sostenibilità è femminista? Sono domande non poste a cui però bisogna dare una risposta, quesiti muti che devono essere chiariti per poter procedere e non stagnare o, peggio, muoversi a ritroso.

Una risposta semplicistica e molto poco scientifica prevederebbe un rapido sì, ad entrambi i quesiti, in forza del fatto che molte delle istanze sostenibili sono state sollevate da donne. Prima ancora di arrivare a Greta Thumberg, fu proprio una donna, Gro Harlem Brundtland, a presiedere la commissione per ambiente e sviluppo che, nel 1987, redasse il famoso “Our common future”, noto non a caso come rapporto Brudtland, in cui venne data la prima storica definizione di sostenibilità ed equità intergenerazionale. E sebbene questo sia un punto fondamentale, che verrà ripreso dopo, è necessario analizzare prima il quesito numero uno.Gro Harlem Brundtland

Gro Harlem Brundtland

Il femminismo è un movimento politico nato nella seconda metà dell’800 quando le categorizzazioni scelrotizzate della società borghese negavano qualsiasi tutela alle donne, relegandole ad una sfera sociale, politica, giuridica e familiare di evidente inferiorità. Le donne, borghesi o operaie che fossero, non avevano alcun potere su sé stesse, de facto e de jure non avevano nemmeno diritto all’autodeterminazione. Con la nascita del movimento e la lotta politica e sociale, le donne sono riuscite piano piano a vedersi riconoscere i diritti fondamentali e poi quelli politici e sociali. Eppure, nonostante siano trascorsi quasi due secoli da allora, i diritti delle donne sono ancora minacciati e, troppo spesso, non riconosciuti.

Otto Marzo

Nel Nord nel mondo, la parità socio economica è utopia, basti pensare che in Italia, a parità di condizioni, un uomo guadagna in media il 10% in più di una donna, un divario che aumenta nelle categorie contrattuali più basse e che fissa il nostro paese al 17° posto, in una classifica comprendente 24 paesi, per volume del Gender Pay Gap. Un triste primato che riflette perfettamente la disparità di trattamento. Secondo uno studio recentemente pubblicato dell’Associated Press, ha svelato la realtà cruda delle donne malesi e indonesiane impegnate nelle piantagioni di palma da olio. Le lavoratrici, sottopagate e sfruttate, sono risultate essere vittime di violenza sistematica. E ancora, la maggior parte del personale impiegato nelle fabbriche dislocate nei PVS delle industrie produttrici di fast fashion, l’80%, è composto da donne.

Fast Fashion

Sfruttate, sottopagate, sottoposte a violenza sistematica, costantemente oppresse dalla minaccia della violenza fisica e sessuale, solo in Italia una donna su tre è stata vittima di una qualche forma di violenza, le donne nel mondo non sono al sicuro e non godono di tutele sufficienti. Come si interseca la sostenibilità a tutto ciò? Ebbene la sostenibilità è un composto eterogeneo, basato su tre elementi fondamentali, ovvero una componente ambientale, una economica ed una sociale. Le tre insieme creano un equilibrio, definibile come sostenibile. La sostenibilità sociale, in particolare, mira a ridurre le diseguaglianze e a diffondere il benessere in maniera equa. Il femminismo ha come obiettivo fondamentale quello di raggiungere la parità tra i sessi, una parità fatta di dignità, equità e tutela da qualunque reato che sia gender based. Appare dunque evidente che il femminismo sia effettivamente sostenibile, proprio perchè per ottenere la parità esso lavora su più livelli che comprendono anche la tutela economica ed ambientale. 

sviluppo sostenibile

Rimane dunque il secondo quesito, che trova una risposta speculare a quella appena proposta.  La sostenibilità è, e deve, essere femminista. Altrimenti viene meno ad una delle sue componenti fondamentali: quella sociale. Risolvere la disparità di genere è fondamentale per costruire un mondo sostenibile e finché le donne e i loro diritti resteranno tagliati fuori dal  dibattito sostenibile, questo non sarà mai autentico.

Ed infine, possiamo tornare alle voci che si ergono per promuovere la sostenibilità, voci che molto spesso sono emanate da un corpo di donna. Verrebbe da domandarsi perchè le donne siano più propense a patrocinare tali istanze. Qualche machista anti-femminista che rigetta gli assiomi base della sociologia e dell’antropologia, potrebbe obiettare che sia una questione di sensibilità. Ebbene, per una volta non avrebbe torto, seppur inconsapevolmente. Le donne sono state storicamente oppresse per tutta la loro storia e solo recentemente, cosa sono quasi due secoli a confronto con la storia umana, hanno iniziato a vedersi riconoscere il minimo di quanto dovuto, perciò è normale che siano più sensibili a temi che evidenziano ingiustizie ed iniquità. Non si tratta di quell’emotività esagerata che le attribuzioni di genere appicciano alle donne, si tratta invece di una razionale e storicamente determinata consapevolezza, per cui le donne, essendo, per volume di questioni e dimensioni numeriche, la categoria più discriminata al mondo, sono in grado di leggere le linee delle diseguaglianze e di schierarsi per deviarle fino a distruggere. Sacrifici, rinunce e cambiamento non spaventano chi deve migliorare la propria condizione di vita, al contrario.

Friday for Future

Lottare per diritti fondamentali, come l’integrità fisica, o l’autoderminazione del sé, in un mondo che vieta il diritto all’aborto, non paga stipendi pieni perché l’impiegat* è in possesso di una vagina dalla nascita,  promuove attivamente una cultura dello stupro, e sfrutta le donne dei paesi in cui le trame del diritto sono ancora più lasche, rende le donne più consapevoli e più pronte a capire l’importanza della sostenibilità. Non è quindi un caso che sia stata Greta Thumberg a dare una scossa ad adulti che hanno il doppio dei suoi anni creando un movimento di scala globale, che Xiye Bastida, classe 2002, sia un’attivista per il clima e i diritti delle popolazioni indigene, che Gro Harlem Brudtland, prima donna eletta primo ministro in Norvegia, abbia cambiato i canoni con cui interpretiamo lo sviluppo, che Elly Schlein,  vicepresidente dell’Emilia Romagna, si occupi di promuovere i diritti delle donne e parli di tutela ambientale. Non è un caso se la voce della sostenibilità spesso ha il suono di una voce di donna.

Gli oppressi erediteranno il mondo si leggeva nelle chiese, ma la verità è che gli oppressi sanno vederlo per com’è davvero e sanno lottare per cambiarlo. Costi quel che costi. 

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