Piantare alberi viene spesso presentata come un’azione necessaria e sufficiente per ridurre le proprie emissioni. Le stesse compagnie aeree, responsabili del 2% delle emissioni totali di CO2equiv, offrono metodi di compensazione per le emissioni che contribuiscono a progetti di riforestazione. Il viaggiatore, quindi, può pagare una cifra compensativa in più, scegliere compagnie che si impegnano per piantare alberi e/o fare entrambe le cose senza nemmeno farci caso vista la ormai capillare diffusione di queste iniziative. I siti come treedom.com, che offrono la possibilità di piantare svariati tipi di alberi in diverse parti del mondo, permettono anche ai privati di scegliere una pianta da regalare o piantare. Piantare alberi è diventata un’azione diffusa, si potrebbe quasi dire di moda. Per valutare il reale impatto di queste pratiche è necessario nomenclarle in maniera corretta e capire se sono davvero la soluzione semplice ed accessibile al problema o se si tratta solo di una nuova forma di vendita delle indulgenze, per tranquillizzare le coscienze e dar loro la certezza di essersi conquistate il paradiso.
Piantare alberi: Afforestazione o Riforestazione?
I progetti di piantumazione fanno sempre riferimento al termini riforestazione, ma in realtà si tratta principalmente di afforestazione. Con il termine afforestazione si intende la pratica di piantare una foresta in luoghi dove originariamente non sorgevano foreste. Trovare lo spazio necessario per poter ospitare tutti gli alberi necessari ad un’impresa che si occupa di piantare alberi, soprattutto nei Paesi Meno Sviluppati e nei Paesi in Via di Sviluppo, significa spesso limitare, se non sottrarre, spazio alle comunità presenti. Inoltre, gli alberi piantati non sono necessariamente alberi che si confanno all’ambiente in cui vengono ubicati. In Africa, ad esempio, le foreste piantate artificialmente prevedono anche l’introduzione di specie non presenti sul territorio nonché la creazione di foreste laddove non ci sono mai state, non tenendo quindi conto delle esigenze della fauna locale e dell’ecosistema preesistente. Inoltre, si tratta spesso di alberi da frutto, che devono essere quindi coltivati, uno dei punti cardine più pubblicizzati riguarda proprio il fornire un impiego a contadini iscritti in cooperative che collaborano con l’azione che si occupa di piantare alberi, e non servono perciò a sostenere l’ecosistema e la biodiversità. Le condizioni di lavoro dei contadini impegnati, inoltre, non sempre sono rese note e la presenza di un’azienda straniera che si occupa di creare magicamente opportunità di lavoro suona leggermente di white savior e un po’ troppo di neocolonialismo.
La riforestazione
Con riforestazione, invece, si intende la pratica di rimboschimento, quindi di ripristino di una vegetazione boschiva laddove è stata rimossa. La riforestazione, al contrario dell’afforestazione, prevede il ripristino di una situazione esistente venuta a mancare a causa di interventi di natura umana o naturale. Anche la riforestazione può essere effettuata a fini agricoli e, dunque essere solo un meccanismo di greenwashing per mascherare un campo agricolo da progetto di tutela ambientale.
La vera azione per contrastare la deforestazione
La deforestazione è la pratica di abbattimento di alberi, foreste nel loro insieme, per fini commerciali, agricoli o urbani. Per contrastarla non è sufficiente piantare un albero, a prescindere dal tipo di piantumazione che verrà effettuato, ma è necessario cambiare stile di vita. Il primo dato che spicca in una qualsiasi statistica inerente alla deforestazione riguarda l’agricoltura e in particolare l’industria di produzione di alimenti di origine animale. Secondo le statistiche l’80% della deforestazione in corso è dovuto all’industria agroalimentare. La maggior parte dei terreni, spesso ricavati in foreste vergini, ovvero nei polmoni del nostro pianeta, sono recuperati per poter ospitare allevamenti intensivi e coltivare i mangimi necessari a mantenere in vita gli animali. Nel 2010, in Brasile, la deforestazione atta a ricavare piantagioni di soia per foraggiare il bestiame è aumentata del 45%.Considerando inoltre che l’agricoltura animale è responsabile per circa il 14,5% delle emissioni (dati FAO) e che al suo aumentare diminuiscono esponenzialmente le foreste, appare chiaro qual’è la vera azione da compiere onde evitare la perdita delle foreste e fornire margine sufficiente affinché queste vengano ripristinate in maniera coerente con l’ambiente in cui si trovano: abbandonare il consumo di prodotti di origine animale.
Quindi piantare alberi fa male?
Piantare alberi è un gesto apparentemente innocuo che inizialmente era portato avanti da poche aziende beninitenzionate, ma che, come tutto, si è presto piegato alla logica di mercato trovando nel senso di colpa dei consumatori una domanda crescente a cui offrire un prodotto in massa senza fornire sufficienti chiarimenti e specifiche. Questo non significa che piantare alberi sia una pratica dannosa, ma che andrebbe fatta con più attenzione, soprattutto cercando di trovare le informazioni che spieghino in maniera efficace l’interazione tra la specie piantata e l’ambiente, le condizioni di lavoro dei contadini impiegati nella loro coltivazione e la reale ubicazione della nuova foresta.
Come per tutti i problemi che stiamo affrontando, e che affronteremo, non esistono soluzioni immediate e semplici, da operare con un semplice click. Servono impegno e dedizione, affinché la sostenibilità, quella vera, possa realizzarsi, mutando drasticamente il nostro sistema attuale e garantendo un futuro alle generazioni future.