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La crescita viene sempre usata come valida giustificazione all’uccisione cosciente che stiamo commettendo. Sarebbe persino più corretto parlare di suicidio, visto che il nostro meccanismo produttivo sta causando la sesta estinzione di massa. Eppure, le aziende continuano a produrre, i candidati alla presidenza USA continuano a promettere tutele al fraking, pur sapendo che è direttamente collegato all’incremento di terremoti, il petrolio viene estratto, i polmoni verdi del pianeta vengono rasi al suolo, miliardi di capi di bestiame vengono allevati e abbattuti e il nostro sistema di consumo rimane invariato: compriamo tutto e di più, persino senza averne bisogno. Perchè la crescita economica giustifica tutto, e anzi, è usata come spauracchio per allodole.

 

La curva di Kuznet applicata all’ambiente, infatti, dimostra proprio che oltre un certo grado di sviluppo, inteso come crescita economica valutata sul PIL, la tendenza degli stati sia quella di ridurre il proprio impatto promuovendo politiche, tutele per l’ambiente e abbandonando pratiche dannose che, però, vengono spesso solamente dislocate in altri luoghi.

L’environmental shopping, la scelta di luoghi di produzione in cui le leggi sono più lasche in termini di tutele ambientali e dei diritti dei lavoratori, è una forma di colonialismo contemporaneo, portato avanti e accessoriato con eventuali forum shopping, scelta di fori giuridici in cui affrontare eventuali problemi giudiziari operata in base al sistema legislativo più favorevole,  e policy di scarico dei rifiuti prodotti nei PMS, prima estese anche ai PVS i quali si stanno, però, lentamente ribellando a questa pratica. Il drenaggio di risorse, il riallocamento del pattume senza smaltimento corretto, lo sfruttamento di persone in assenza di tutele legali, le scelta di luoghi produttivi isolati e dimenticati e il loro impatto grave sull’ambiente, vengono quindi difesi in nome del progresso e della ricchezza.

L’idea, spesso portata avanti, riguarda proprio la residualità della ricchezza, ovvero la convinzione che all’aumentare del benessere dei pochi, anche i più godano di una qualche forma di incremento positivo residuale. Gli Stati Uniti sono la prova che questo principio non ha valore a livello territoriale, figurarsi a livello internazionale. La vera domanda che dobbiamo porci, per un’analisi cinica costi-benefici, riguarda proprio la ricchezza: Quanto costa uccidere il pianeta? E questo costo è minore o inferiore del guadagno? 

 

Ragionando sui mercati più redditizi al mondo, è possibile ricavare  cifre astronomiche. Il mercato del petrolio, singolarmente, ha un valore pari a 3.3 trilioni di dollari ( dati in base 2019) e, secondo le stime ILO, fornisce impiego diretto ad almeno 6 milioni di persone, un numero che si decuplica se si analizzano anche gli impieghi indiretti.

Il mercato globale della produzione di materiali plastici raggiungere un valore di circa 1,2 trilioni di dollari statunitensi, anche questa una cifra in continua crescita.

L’industria della carne, con una produzione di 336,4 milioni di tonnellate di carne, è capace di generare un ricavo di 2 trilioni di dollari.

Il settore di moda fast fashion nel 2019 aveva un valore di mercato pari a 36 miliardi di dollari, ma la prospettiva è che nell’arco di soli dieci anni possa raggiungere i 43 miliardi.

fast fashion growth

In Uganda, l’industria forestale, la famosa economia del legno, occupa il 23% del GDP, in Bhutan il 22% del GDP e l’11% del commercio, in Nigeria il 16% del GDP, in Indonesia il 10% e il 12% del commercio e. in Malesia il 10% del GDP. (Dati Fao)

Solo nel 2018, il valore di mercato dei gioielli in diamanti si attestava intono a 76 milioni di dollari. Il tutto considerando che gli Stati Uniti ricoprono da soli il 49% della richiesta di gioielli di diamanti e che i principali paesi prodotturi sono Russia, Botswana, Australia e Repubblica Democratica del Congo.

Persino il mercato della tecnologia ha un valore altissimo, pari a circa 4.8 trilioni di dollari, un filo sotto le stime che lo prevedevano arrivare a sfiorare i 5,2 trilioni nel 2020. (Dati IDC).

Enumerare tutte le industrie attive e produttive sarebbe uno sforzo immane, riportarle in un articolo richiederebbe al lettore un atto di forza eccessivo per arrivare alla fine, per cui basterà riportare il GDP globale, per dare un’idea della ricchezza prodotta ogni anno da tutte le industrie del mondo: 138,352.38 miliardi di dollari nel 2020, con un calo della crescita economica globale previsto pari a circa il 4,9%. (Dati FMI, BM, Statista).

Ed ecco quindi il valore di tutta la nostra produzione, nero su bianco. Trattandosi di un’analisi prettamente e volutamente numerica si ometteranno argomentazioni inerenti all’impato sociale di tali industrie e tale crescita.

Dopo aver ampiamente caricato il piatto della bilancia che ingrossa le tasche del minimo percentile di persone attualmente presenti sul pianeta, l’1% di persone più ricche del mondo detiene il 44% della ricchezza totale, dobbiamo iniziare ad aggiungere contrappesi.

distribuzione ricchezza nel mondo

Innanzi tutto dobbiamo introdurre un fattore cruciale, ovvero i cosiddetti ecosystem services, i servizi che il nostro pianeta offre gratuitamente. La Terra fornisce all’essere umano l’ambiente in cui vivere grazie alla presenza di elementi come acqua, aria, prodotti alimentari e risorse materiali di cui disporre. In questi servizi, però, rientrano anche beni immateriali, come l’arricchimento spirituale, lo sviluppo cognitivo, l’introspezione, il divertimento e le esperienze in generale. Si tratta quindi di una serie infinita di fattori che arricchiscono, in maniera materiale ed immateriale la nostra esistenza, dall’ossigeno all’emozione di nuotare nell’Oceano Indiano e scoprirsi testimoni del passaggio di una manta gigante. Questo asset è stato stimato in termini numerici, anzi più precisamente, nel 1997 né è stato calcolato il valore economico da Robert Costanza pari a circa 33 trilioni di dollari, attualmente pari a 44 trilioni di dollari ( David C. Holzman).

Cos’è Il Cambiamento Climatico?

A questo valore, tristemente pragmatico, ma efficace ai fini di una società che per definizione vive in funzione del capitale, dobbiamo accostare altre importanti valutazioni.

La spesa necessaria a ridurre l’inquinamento dell’aria è pari a circa 4,6 trilioni, dunque il 6,2% del GDP, secondo quando dichiarato dalla Lancet Commission On Pollution ad Health. Inoltre, l’inferenza di questo specifico tipo di inquinamento, che causa circa il 9% delle morti annuali, spinge ogni anno i sistemi sanitari del mondo a sostenere una spesa compresa tra i 240 e i 630 miliardi di dollari.

malattie inquinamento atmosferico

Solo per ripulire i mari, sostiene il Competence Centre for International Relations, sono necessari 90 miliardi di dollari, una cifra minuscola rispetto a quanto prospettato per incontrare gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile date le circostanze attuali, ovvero 175 miliardi all’anno. Questi costi, e tutti gli altri che si potrebbero aggiungere, quali riduzione dell’inquinamento da sostanze tossiche dei bacini idrici, gestione  e smaltimento dei rifiuti, etc sono tutti costi di riparazione di un danno planetario in atto. Si tratta quindi di operazioni di securitizzazione del pianeta, che, se implementate, lo manterranno vivibile per le generazioni future. Non sono stati calcolati i costi umani, le morti e le tragedie che ogni giorno, in questo pianeta soffocato, acquisiscono un volume gargantuesco, tragicamente ignorato. 

limiti dell'ambiente

Il valore di ciò che stiamo perdendo, in termini pratici e non, è certamente, e numericamente, superiore. Inoltre avremo a che fare con condizioni, panorami e prospettive diverse da ciò che abbiamo conosciuto finora, ovvero condizioni per cui potremmo non essere preparati, e quindi equipaggiati, in maniera sufficiente. In un articolo apparso su Foreign Affairs Scoblic e Tetlock mettono in guardia da questa assenza di prospettiva:

They often assume that tomorrow’s danger Will look like yesterday’s, retaining the same mental map even as the Territory around them changes dramatically.

Questa forma mentis porta a sottovalutare l’entità dei problemi che stiamo affrontando e soprattutto, di quelli che ci troveremo ad affrontare rebus sic stantibus.

Persino il più cinico degli amanti della crescita ad ogni costo ammetterà che non si tratta più di ricchezza, ma di singoli guadagni, irrisori rispetto al prezzo che stiamo pagando e che pagheremo.

Soprattutto considerando che alla fine, il conto verrà presentato ad un pianeta deserto, morto. In cui nessun essere umano sarà rimasto per leggere le cifre, tuffare uno sguardo sconsolato nel proprio portafogli o dare una scorsa al volume del proprio conto in banca.

Friday for Future

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