Skip to content Skip to sidebar Skip to footer

Carrozze per sole donne

Dopo il caso di violenza sessuale verificatosi su Trenord è stata lanciata una petizione online per istituire le carrozze per sole donne. Capire se si tratti di una soluzione o di un palliativo non è cosa semplice, soprattutto perché, quando si tratta di violenza di genere sono le sfumature meno visibili ad essere quelle più indicative.

Le politiche si segregazione di genere non sono una novità, servono a creare un distacco fisico tra un gruppo umano e il resto della società sulla base del genere. Genere che, come sempre, viene inteso nella sua accezione più ristretta e binaria, che non tiene conto di tute quelle identità trasversali che rimarrebbero quindi escluse. Infatti per le persone non binarie o trans* significa scegliere tra l’identificazione e appellazione errata o l’esclusione dalla carrozza. In ogni caso, si tratta di una forma di violenza inflitta.

Si parla di carrozze e vagoni per sole donne, ma quello che sfugge è il dato quantitativo. Di solito queste carrozze sono una percentuale irrisoria rispetto alla totalità del treno. Da un lato vi è una completa sottovalutazione dell’utenza femminile, coerente con un sistema che invisibilizza le necessitò delle donne, la cui presenza viene ridotta a quanto può essere ammassato in pochi vagoni. Inoltre, considerata la situazione attuale, questa compressione rappresenta un aumento di rischio di contagio che esporrebbe maggioramente le donne, lo stesso gruppo umano che si cerca di proteggere.

Parlare di vagoni rosa significa anche valutarne distribuzione e accessibilità, quindi la loro ubicazione sul treno tanto quanto la facilità con cui questi possono essere raggiunti da tutte le donne. Perché questi vagoni siano efficienti, almeno dal punto di vista degli accessi, dovrebbero essere distribuiti in modo coerente con la possibilità di spostamento delle persone disabili.

Le carrozze rosa, non sarebbero in grado di accogliere tutta l’utenza femminile, a cui rimarrebbero due opzioni, permanere nelle carrozze miste o rinunciare all’uso dei mezzi pubblici in certi orari. Questi fattori aumentano l’espulsione sociale delle donne, portandole a dover attivare altre strategie che consentano loro di fruire di tali vagoni. A nuova Delhi, i vagoni rosa sono solitamente posti alla testa della metropolitana, raggiungerli, spesso, implica il passaggio nei vagoni misti, occupati prevalentemente da uomini, in cui le violenze sono una costante. L’utenza femminile della metropolitana di Delhi rappresenta il 25% del totale, percentuale dovuta al divario di genere ma che comunque non entra fisicamente nelle poche carrozze assegnate. Questo porta le donne che hanno bisogno di usare i mezzi pubblici metropolitani a farlo principalmente in compagnia di un uomo della famiglia.

Le carrozze miste, inoltre, non subiscono un effetto domino dettato dalla presenza di carrozze “sicure”. In Giappone, l’anno successivo all’introduzione delle misure di separazione si è registrato un aumento del 15%-20% dei casi di violenza nei vagoni misti. I dati non sono in grado di specificare se ciò fosse dovuto a un aumento delle violenze o delle denunce. Scoprire quale delle due eventualità si sia verificata sulla pelle delle pendolari è forse un azzardo eccessivo.

Vi è poi un grosso angolo cieco nel considerare la securitizzazione dei mezzi pubblici solo in relazione al tragitto percorso dal mezzo. Infatti non si considerano le stazioni e i tragitti tra stazione e destinazione, sia essa casa, lavoro o svago. Ambienti strettamente connessi al mezzo la cui pericolosità varia in base all’ubicazione. Alcune stazioni sono meno sicure di altre e non tutte le passeggere si muovono lungo percorsi sicuri, pericolosi solo nel momento del trasporto effettivo.

Eppure, i vagoni rosa danno un senso di sicurezza indiscutibile. Il perché, però, è indicativo della problematicità del sistema. Questi vagoni non sono più sicuri perché vi è un effettivo calo delle persone violente, quanto più perché ogni passeggera presente, diventa filtro per tali violenze. La securitizzazione è demandata alle donne che diventano l’una la garante di sicurezza dell’altra.
Demandare ulteriormente alle donne la gestione della propria sicurezza da un problema sistemico è uno sgravo di responsabilità da parte delle agenzie che gestiscono il servizio pubblico e dello stato stesso.

L’accettazione di tale proposta non è criticabile, anzi, ma ci ricorda quanto il sistema sia in grado di farci percepire la sua immobilità. La violenza di genere è un fatto e bisogna adattarsi di conseguenza. Nel breve periodo l’adattamento può significare sopravvivenza che, però, in prospettiva verrà trasformata dal sistema stesso in accettazione e autogiustificazione.

Ciò che dovrebbe essere considerato maggiormente è il fatto che la richiesta arrivi dal basso. Gli enti preposti dovrebbero cogliere questo fattore come l’ennesimo campanello d’allarme a cui è finalmente arrivata l’ora di rispondere. I treni e gli altri mezzi possono essere messi in sicurezza anche con forme di tutela ibride, che non prevedano l’istituzione di un gruppo vigilante, ma che consentano ai passegger* tutt* di essere responsabili gli uni degli altri, ad esempio distribuendo su tutta la superficie del treno dispositivi di segnalazione capaci di attivare immediatamente l’arresto o il soccorso. Chiedere alle sole donne di esserlo è un come chiedere loro di uscire solo in gruppo, dimenticandoci che non tutte possono farlo.

Leave a comment