Fratellino di Ibrahima Balde e Amets Arzallus Antia è un libro che vale la pena di essere letto. Questo libro è uno di quei casi letterari che arrivano in punta di piedi e si spera esplodano, contagiando con la loro narrazione più persone possibili. Se diventasse un best seller sarebbe una cosa buona, perché “Fratellino” è un libro che racconta molto di più di una storia, racconta una storia vera di qualcosa che tutti pensiamo ormai di conoscere, ma di cui sappiamo realmente ben poco. Fratellino è proprio un complesso di conoscenze emotive e pratiche di cui sarebbe opportuno avere cognizione, ma è anche la storia reale ed onesta, brutalmente onesta, di Ibrahima Balde, un migrante che vive a Madrid in un albergo della croce rossa e che vi lavora come meccanico.

Ibrahima Balde dalla Guinea
La storia di Ibrahima inizia in Guinea nella semplice quotidianità di una vita contadina. Ibrahima specifica che non si tratta della Guinea Bissau, né della Guinea Equatoriale, ma quella Guinea con capitale Conakry. Lui e la sua famiglia sono di etnia Fula e parlano il pulaar, ma Ibrahima conosce più d’una lingua. L’infanzia è qualcosa di veloce in Guinea, soprattutto per un fratello maggiore. Dopo i primi anni passati con la madre, Ibrahima viene reclamato da suo padre che lo porta a Conakry a vendere pantofole. La vita con il padre è rigorosa, punteggiata di cinghiate, e piuttosto taciturna. Il padre di Ibrahima è malato e alla sua morte di ghiaccio, inizia il vero viaggio del ragazzo. Solo ed spaesato torna dalla madre per assumere il ruolo di capofamiglia ed occuparsi di suo fratello minore, Alhassane, e delle sue due sorelle Binta e Rouguiatou. Diventa apprendista camionista, ma i soldi sono sempre troppo pochi.
Nel testo la materialità del denaro è forse uno degli elementi che colpisce di più. In quantità e valute sempre diverse, il denaro non è metro di misura ma valore per acquisire. Un senso che può apparire scontato, ma che in realtà sottende l’assenza di sovrastrutture così come le conosciamo noi. Il denaro è volatile, è un rischio e si guadagna con il rischio.
Fratellino
Il viaggio di Ibrahima inizia quando Alhassane, il suo fratellino, in Pulaar Minan, si allontana da casa con l’intento di raggiungere l’Europa. Ibrahima, privato del fratello con cui condividere il fardello della famiglia e, più di tutto, del bambino dagli occhi grandi a cui voleva garantire un’istruzione, parte per ritrovarlo. Un viaggio lungo, doloroso e raccontato il prima persona ad un “tu” che trascende la persona che lo ha ascoltato e ha scritto il libro, Amets Arzallus Antia, e raggiunge il lettore. Il “tu” parla a chi posa gli occhi sulla pagina, lo coinvolge e lo risucchia in un racconto vero, talmente vero da essere devastante. La ricerca del fratellino, dell’unità familiare, ma più di tutto del rapporto e delle conversazioni con Alhassane, prende le forme del percorso migratorio, conducendo Ibrahima verso la rotta incerta e pericolosa della migrazione intercontinentale alla volta del mediterraneo.
La migrazione
Il viaggio di Ibrahima mette in luce quel percorso tortuoso e spesso poco lineare che viene sempre appiattito nel dibattito sulla migrazione. Si pensa all’attraversamento dell’Africa come ad un momento, una scelta e un sentiero unico e diritto che porta verso la bocca vorace del Mediterraneo. Ibrahima ci mostra qualcosa di più, rivolgendosi direttamente al proprio interlocutore. Snuda le complessità di un viaggio in un continente immenso, ricordando che prima di tutto l’Africa non è un confuso insieme di cose, ma un continente con confini e diversità. Una diversità che si traduce in ostilità, discriminazione e sfruttamento. Ed è così che Ibrahima giuda il lettore verso i primi trafficanti, quelli del deserto che sono di Boko Haram o dello Stato Islamico e che delle persone come lui, i poveri dell’Africa centrale, percepisco solo il valore. Ed è così che ci guida a Taalanda.
Taalanda è un campo per schiavi situato nel mezzo del deserto. Lì le persone come Ibrahima vengono richiuse, con la promessa di essere trasportate altrove ed esposte al deserto, in attesa che qualcuno li valuti ed eventualmente li compri. Per cosa, esattamente, non lo sa nemmeno Ibrahima. La fuga di Taalanda è crudele, il suo compagno cade nel tentativo e Ibrahima, nascosto poco lontano ascolta il suono dei colpi perdersi sul suo corpo.
Il programma per l’Europa
L’arrivo in Libia introduce il lettore alla desolazione della realtà libica in cui l’occidente attivamente investe per il trattenimento dei migranti. Ibrahima trova subito il tranquillo di Babà Hassan, una zona di sosta per migranti a cui bisogna iscriversi per ottenere, prima o poi, un programma per l’Europa. I tranquillo sono zone morte, inerti, in cui vite e biografie si incrociano e uniscono, inframmezzate dal lavoro occasionale. I tranquillo sono l’attesa, ma anche la proprietà. Baba Hassan acquisisce i corpi migranti, delinea il perimetro delle loro vite indirizzandole, congelandole o interrompendole. Si delinea il ritratto dell’attesa e della prigionia fisica e mentale, in attesa di salire sulle barche che andranno verso l’Europa.
Le galline tutte matte
Durante il suo percorso accidentato, Ibrahima viene catturato, torturato e venduto. Viene condotto in un capanno in cui migliaia di galline necessitano di un guardiano. L’uomo che l’ha comprato gli illustra la sua mansione principale: nutrire le galline. Ibrahima inizia quindi una vita di schiavitù e prigionia, sempre in attesa che il vecchio gli porti da mangiare la sera. Solo la distrazione dovuta ad una telefonata improvvisa distrae l’uomo al punto da farlo correre fuori e lasciare la porta aperta. Ibrahima attende, non scappa subito. Perché il vecchio è armato di Kalashnikov, come tutti del resto, uomini, donne e bambini.
Fratellino è un libro da leggere e far leggere
La storia di Fratellino non è solo una storia di migrazione, è una storia personale, è una storia di famiglia, ma anche una storia plurima di vite parallele, diverse, opposte eppure affini, unite dal percorso e dal suo esito. Ibrahima perde il suo fratellino, lo cerca e ad ogni passo il peso della perdita diventa sempre più profondo e stabile in lui. Fratellino è un libro da leggere, da comprare e da leggere in ore di silenzio e riflessione. Bisogna aprirlo e rileggerne pezzi e frammenti, riconnetterli alla storia ma anche alla realtà che percepiamo e farne un tutt’uno, per cambiare la nostra percezione ma anche la narrazione collettiva della migrazione. Fratellino però è un libro che dovrebbero leggere le persone meno interessante alla cosa, quelle che pensano che la migrazione sia un viaggio come un altro e che sia compiuto alla leggera, con intento maligno.
Questo è un libro proprio per quelle persone che non lo leggerebbero mai, perché di fronte alla sua storia nessuno, nemmeno la persona più emotivamente distaccata, potrebbe ancora credere che fermare le persone in Libia, chiudere i porti e non soccorrere chi si trova sui barconi è un’azione accettabile.
Fratellino scritto da Amets Arzallus Antia e raccontato da Ibrahima Balde non è un libro politico né un manifesto, è semplicemente, la narrazione scritta della realtà.
