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Gender Studies: in Italia una realtà poco presente

Secondo una ricerca realizzata nel 2013 dall’Associazione italiana di sociologia (Ais) dell’Università di Roma Tre, solo 16 atenei italiani su 57 presentano almeno un insegnamento in Gender Studies.

Ma cosa sono i Gender Studies e perché sono ancora così poco presenti nel nostro Paese?

Gender Studies

Definiamo i Gender Studies, ossia gli Studi di Genere, come quell’insieme di studi interdisciplinari dei significati socioculturali legati alle identità di genere, ai ruoli di genere a all’orientamento sessuale.

Gender Studies (inizialmente chiamati ‘Women’s Studies’) cominciarono a svilupparsi negli Stati Uniti già a partire dagli anni 50’. Tuttavia, solo negli anni 70’ e 80’ si diffusero nel resto del mondo, grazie all’importante contributo dato dalle femministe dell’epoca. 

Queste ultime, infatti, contestavano in primis il fatto che l’istruzione era ancora in gran parte di stampo maschile, arrivando ad ignorare molto spesso l’esperienza femminile. Criticando, a sua volta, il conseguente sistema tradizionale di considerazione sociale della donna.

Dunque, divenne importante reclamare la creazione di spazi in modo da permettere la diffusione di conoscenze che tenessero conto anche del punto di vista delle donne.

In particolare, ricordiamo l’antropologa Gayle Rubin che, nel 1975, con The Traffic in Women: Notes on the ‘Political Economy’ of Sex diede la definizione di sex/gender system, ossia un sistema binario asimmetrico secondo il quale il maschile occupa una posizione privilegiata rispetto al femminile. A partire da suddetto concetto iniziò a diffondersi l’uso del termine ‘gender‘.

Non vi è stato alcun riscontro positivo da parte del mondo accademico. Molto probabilmente, questo è stato uno dei motivi per il quale si è arrivati a definirli a livello mondiale ‘Gender Studies’ e non più ‘Women’s Studies’. Ma grazie a tale cambiamento, il termine consolidatosi lo si usa attualmente per comprendere anche i diversi ambiti di studio legati all’identità di genere come, ad esempio, i Queer Studies, chiamati anche ‘LGBTQ+ Studies’. Gender Studies, risulta quindi più rappresentativo della pluralità del genere, oltre la percezione binaria di cui sopra.

Ma qual è il fine dei Gender Studies?

Innanzitutto, l’obiettivo primario è quello di ampliare la conoscenza in materia, cercando anche di andare oltre il piano teorico-concettuale.

In secondo luogo, anche se implicito, vi è lo scopo per cui è necessario destrutturare e ristrutturare la mentalità della collettività sociale in merito allo sviluppo di tutti quei concetti socioculturali relativi al sesso e al genere, basati molto spesso su stereotipi patriarcali.

Infine, da quest’ultimo obiettivo conseguirebbe a sua volta la riduzione delle discriminazioni basate sul genere stesso, presenti in ogni ambito della società.

Attualmente, secondo il Keystone Masterstudies, i migliori master in Studi di Genere in Europa 2022 si trovano in: Finlandia, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna e Svezia. 

Ciò vuol dire che in suddetti Paesi europei, l’interesse e i successivi investimenti sono stati tali da permettere di creare questi spazi di studio, d’indagine e di analisi in maniera completa e pervasiva.

Molto probabilmente i “vantaggi” che potrebbero avere le società da questi studi risultano ancora poco chiari o addirittura invisibili. Ma se volessimo dare una risposta a ciò, si potrebbe dire che non solo gli Studi di Genere permettono una chiave di lettura ‘gender sensitive’ in riferimento a qualunque settore delle scienze umane (dalla sociologia alla psicologia e dalla filosofia alla politica); ma andrebbero anche a colmare il gap italiano, esistente in ogni ambito in termini di genere. Effettivamente, per la popolazione femminile in generale, i dati scarseggiano o perché non vengono raccolti, o perché non vengono separati da quelli maschili. Nel testo di Criado Perez, Invisibili, è presentato il racconto diffuso di questa assenza di dati e ricerche. 

Attraverso la formazione di studiosi e ricercatori in materia si arriverebbe ad una raccolta di dati di genere dalla quale si potrebbero trarre numerosi benefici per l’intera società e l’economia (ad esempio, quest’ultima potrebbe trarre vantaggi si venissero raccolti dati relativi ai lavori di cura e assistenza svolti dalle donne in maniera gratuita).

La scarsa presenza in Italia degli Studi di Genere

Purtroppo, in Italia, i presupposti per creare spazi accademici dedicati a tali studi scarseggiano in quanto la mentalità dominante è ancora altamente respingente.

Infatti, per ottenere l’ingresso ufficiale dei Gender Studies nel mondo accademico italiano si è dovuto aspettare fino al 1999 con la riforma degli ordinamenti universitari, grazie alla quale venne introdotta formalmente la possibilità di aprire ambiti disciplinari nuovi e creare strutture istituzionalizzate di ricerca. Dunque, con quasi trent’anni di ritardo, gli Studi di Genere hanno potuto iniziare la loro ufficiale diffusione nelle università italiane. Anche se in maniera molto limitata, vennero creati centri di ricerca come il Cirsde, presso l’Università di Torino, e master e dottorati in materia, come il Master in Studi e Politiche di Genere dell’Università di Roma Tre.

Il 10 maggio del 2013, l’AIS realizza una ricerca dettagliata sulla presenza di tali studi in Italia, dalla quale emerge una situazione abbastanza disastrosa, se consideriamo che negli Stati Uniti, invece, i corsi dedicati a tali studi sono centinaia. Infatti, in tutta l’Italia abbiamo solamente 56 insegnamenti, 12 corsi di perfezionamento, 6 master e 4 dottorati.

Come già accennato in precedenza, l’approfondimento di tali studi potrebbe permettere una formazione molto utile nei diversi ambiti delle scienze umane, e non solo. Tuttavia, a livello sociale, si ha ancora la tendenza a considerare gli Studi di Genere come una materia prevalentemente femminile. Non stupisce la femminilizzazione lavorativa di tali spazi. Infatti, l’87% del corpo è costituito dadonne, mentre solo il 13% da uomini. Nei dati non è indicata la presenza di identità non binarie che, però, potrebbero essere state agilmente assorbite dalla rilevazione statistica binaria.

Tra l’altro, nonostante in Italia l’università rappresenti uno dei simboli di più tradizionali e antichi di rispettabilità e valore, le tematiche di genere vengono spesso trattate in maniera superficiale, come la teoria o ideologia del gender. Una teoria complottista, inventata dal Vaticano, che, sostanzialmente, riconduce il concetto di genere a una mera battaglia politica, ignorando completamente il valore scientifico dato dagli studi accademici. Risulta quindi evidente la necessità di un maggior investimento in questi studi da parte delle università italiane.

Insomma, nonostante i passi in avanti nel corso degli anni, le resistenze e i pregiudizi sono ancora tanti, dunque, la strada da percorrere è ancora lunga. 

Eppure, la stessa Unione Europea incentiva lo sviluppo dei Gender Studies come strumento di miglioramento sociale, dando così un ruolo fondamentale all’istruzione per promuovere la parità di genere. 

Nonostante gli ideali auspicati, nei fatti attuali, le tematiche legate al genere sono all’ordine del giorno ed in continua evoluzione anche in Italia, indipendentemente dal mondo accademico. Ciò accade grazie a studiosə, attivistə (anche sui social), giornalistə, scrittori e scrittrici che si occupano quotidianamente di questi argomenti.

Ma in conclusione, a prescindere dallo scarso riconoscimento istituzionale dato agli Studi di Genere, le università italiane continuano e continueranno ad avere un ruolo ed una responsabilità importante in merito verso la società. Ed in vista della crescente attenzione che stanno ricevendo e rivendicando le questioni di genere sarà difficile continuare a considerarle marginalmente o ignorarle.

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