Skip to content Skip to sidebar Skip to footer

I Mondiali di calcio 2022 in Qatar e la strage dei lavoratori migranti

I Mondiali di calcio 2022 «sono un catalizzatore per un cambiamento positivo nel Paese del Golfo». Queste le parole pronunciate dal gruppo di lavoro Uefa sui diritti dei lavoratori in Qatar, paese ospitante il torneo, in occasione della recente seconda visita nell’emirato. Ma di positivo, in merito alla Coppa del Mondo 2022 e alla costruzione dei suoi stadi vi è poco. Un’inchiesta esclusiva condotta dal Guardian ha portato infatti alla luce un dato allarmante: più di 6.500 lavoratori migranti sono morti dal 2010, data di inizio lavori, al 2020 per i costruire proprio quegli stadi che ospiteranno il torneo tanto atteso. La notte del 10 dicembre 2010 nelle strade della capitale Doha si riversava una folla esultante che festeggiava la vittoria del Qatar nella corsa per aggiudicarsi i Mondiali 2022, racconta il Guardian. Da quel momento in poi nel paese ogni settimana sarebbero morti una media di 12 lavoratori migranti provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka. 6.500 decessi il dato ufficiale. Ma le vittime sarebbero di più.

I dati provenienti da India, Bangladesh, Nepal e Sri Lanka hanno rivelato che ci sono stati 5.927 decessi di lavoratori migranti nel periodo 2011-2020 – si legge nell’inchiesta del quotidiano britannico – Separatamente, i dati dell’ambasciata del Pakistan in Qatar hanno riportato ulteriori 824 morti di lavoratori pakistani, tra il 2010 e il 2020.

Si alza quindi a 6.751 il numero dei lavoratori che hanno perso la vita durante la costruzione degli stadi dedicati alla Coppa 2022. Ma non sarebbe ancora questo il dato completo. Allo straziante conteggio mancherebbero infatti i decessi dei lavoratori provenienti dalle Filippine e dal Kenya, oltre a quelli avvenuti negli ultimi mesi del 2020, mai conteggiati.

Queste vite sono state sfruttate, spremute fino all’ultimo per mettere in piedi sette stadi, (non tutti completamente ultimati e la maggior parte dei quali dedicati appunto al torneo calcistico) e una città nuova di zecca, sorta unicamente per ospitare la finale dei Mondiali. Ma il programma decennale di costruzioni del Paese aveva inoltre previsto e attuato la costruzione di strade, trasporti pubblici, un aeroporto e un hotel.

MORTI NATURALI (DI STATO)


Oltre alla questione delle morti bianche – quelle che avvengono sul luogo di lavoro – questa storia racconta anche dell’incapacità di un Governo di assumersi le responsabilità delle proprie morti di Stato e della sua propensione a sviare, a insabbiare. Molti dei decessi dei lavoratori migranti sono stati infatti classificati dal comitato organizzatore dell’evento come “non legati al lavoro”. Nonostante, come scrive il Guardian, alcuni di questi lavoratori siano stati «colpiti da malori e deceduti nei cantieri degli stadi», le loro morti sono state indicate come morti naturali legate a eventi non in relazione al tipo di lavoro e alle condizioni in cui veniva svolto.

Nei lunghi elenchi ufficiali, tra le cause dei decessi si legge di «lesioni multiple contundenti dovute a cadute dall’alto». In altre si parla invece di «asfissia da impiccagione»; le condizioni lavorative alle quali venivano sottoposti, infatti, erano così pesanti da condurre alcuni di loro al suicidio. Ci sono stati casi poi in cui non è stato neppure impossibile definire il motivo del decesso a causa dello stato avanzato di decomposizione del corpo.


Sfruttati, lasciati senza tutele e spesso addirittura dimenticati dopo la morte. La morte naturale per insufficienza cardiaca o respiratoria resta però la causa più menzionata nelle liste ufficiali, specialmente per quanto riguarda i lavoratori bengalesi, nepalesi e indiani. Per i primi due, questo tipo di decesso per cause naturali si sarebbe registrato nel 69% delle morti bianche totali. 80% è invece la percentuale per i lavoratori
indiani. Insufficienze che – secondo le indagini del Guardian del 2019 e che hanno trovato poi ulteriore riscontro in una ricerca condotta dall’Organizzazione internazionale del lavoro delle Nazioni Unite – sarebbero state causate dalle alte temperature che caratterizzano le estati dell’emirato e che rendono davvero avverse le condizioni di lavoro, soprattutto all’aperto. Insufficienze che, a differenza di quello che ha dichiarato il governo del paese, sono perfettamente riconducibili alle condizioni di lavoro e identificabili dunque come morti bianche.


TUTELE CANCELLATE


Oltre all’ostinata reticenza governativa nel riconoscere queste perdite di vite come effettive morti sul lavoro, ad aprirsi vi è anche la questione tutele. Il nodo centrale è quello della mancata volontà statale di indagare in merito alle cause che hanno portato a così tanti decessi di lavoratori migranti, la maggior parte dei quali hanno coinvolto una forza lavoro giovane. Risale al 2014 la richiesta avanzata da un gruppo di avvocati del governo di esaminare le cause di questi decessi legati a insufficienza cardiaca e di apportare una modifica alla legge vigente in materia per, come cita il Guardian, «consentire le autopsie in tutti i casi di morte inaspettata o improvvisa». Molte di queste morti infatti sono state catalogate senza prima svolgere alcuna autopsia, che non avrebbe lasciato spazio a dubbi sulle cause del decesso e che invece, in sua assenza, rimangono poco chiare e spesso frettolosamente archiviate sotto la dicitura di morte naturale slegata dal contesto lavorativo. Il governo però è rimasto sordo a queste richieste.

Altro passo che il governo del Qatar potrebbe compiere è quello di aderire alla Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, un trattato multilaterale delle Nazioni Unite firmato in data 18 dicembre 1990 da 51 paesi (in larga maggioranza gli stessi paesi di origine dei migranti). Oltre ai paesi arabi del golfo persico, anche India, Australia, Sud Africa, paesi dell’Europa occidentale e del Nordamerica non hanno ancora aderito alla Convenzione. A denunciare le terribili condizioni di lavoro e l’alto tasso di mortalità tra i lavoratori migranti vi è anche Amnesty International che nel report “Qatar World Cup of shame” stila una lista di sette modi in cui i lavoratori vengono sfruttati:

  1. Costose spese di reclutamento per lavorare in Qatar che li hanno indebitati e costretti a non lasciare quel lavoro
  2. Difficili condizioni di vita in alloggi non a norma
  3. False promesse sulle cifre degli stipendi
  4. Mesi di attesa per essere pagati
  5. Permessi di soggiorno non rinnovati che mettono i lavoratori, in caso di un loro allontanamento dal luogo di lavoro e dagli alloggi, nella condizione di essere arrestati
  6. Datori di lavoro che ignorano le richieste di concessione dei “permessi di uscita” rendendo di fatto i lavoratori prigionieri nel Paese
  7. Minacce e intimidazioni per chi si lamenta delle condizioni di vita e di lavoro.

Un Mondiale di calcio dunque, quello 2022, che si erge su una sistematica schiavitù che ha tessuto le sue fila per dieci lunghi anni. Una Coppa del Mondo che trasuda sfruttamento, minacce, e morti di Stato. Morti alle quali si sceglie però di non dare peso, che si sceglie di scordare, di tacere. Tutto in nome del dio pallone.

Leave a comment