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Il carattere performativo del discorso d’odio

Le radici della discriminazione

Per comprendere cosa sia il razzismo è necessario osservare le radici più profonde della questione per intuirne le cause inconsce, oltre a quelle evidenti. Esso non è un fenomeno accidentale destinato a scomparire senza sforzo, né possiamo ridurlo ad un’inclinazione ideologica che deriva dalla natura umana. Si tratta di un fenomeno storicamente determinato che costituisce un problema di cui siamo partecipi, in quanto figli della modernità. Il razzismo è una discriminazione che ha tolto la maschera quando sono stati compiuti i più grandi crimini contro l’umanità in suo nome. Tuttavia, non ce ne siamo liberati dopo l’Olocausto, nonostante la vergogna e il ribrezzo che abbiamo provato. Il razzismo è presente ancora oggi ed è dovere di ogni individuo comprenderne le origini e scoprire quali sono gli strumenti per debellarlo.

Il razzismo guadagna spazio con le nostre parole, con i nostri atteggiamenti e con i pensieri inconsci; non basta essere consapevoli che esiste e non basta esserne fermi oppositori. Il ventunesimo secolo albeggia con un’inquietante contraddizione morale, che sembra ancorare la nostra epoca agli scorsi secoli in modo tale da impedirgli di liberarsi di un grave peso. Il macigno ideologico che ancora trasciniamo è quello che riflette il paradigma ottocentesco, quello che ci fa pensare razzialmente nonostante la dimostrazione scientifica che le “razze” umane non esistono.

La riflessione scientifica degli ultimi decenni ha decostruito la teoria delle razze sulla base della ricerca genetica. Nonostante l’evidenza, l’immaginario razziale ottocentesco è ancora influente nel ventunesimo secolo e il concetto di “razza” continua ad esistere alimentato da forti stereotipi. Per questo motivo è urgente e necessario gettare luce sull’inconsistenza epistemica della teoria delle “razze” umane, guardando al razzismo come una pericolosa ideologia, produttrice di senso e di consenso sociale.1

Dalle parole alle ronde

Episodi di violenza fisica e verbale guidati dal razzismo investono l’Italia di oggi con una forza inarrestabile. Ogni atto discriminante è da considerare operante in questa follia collettiva, da quelli apparentemente innocui, simbolici e intangibili, come i discorsi d’odio che strisciano nei luoghi privati e che si diffondono attraverso i media in nome della libertà d’espressione, fino alle ronde notturne a caccia di immigrati, alle lapidazioni online, alle violenze fisiche, agli omicidi e ai suicidi. Come sottolinea Claudia Bianchi in Hate speech: il lato oscuro del linguaggio, l’attenzione al linguaggio sembra ad alcuni “una questione di dettaglio, un capriccio degli adepti del politicamente corretto, quasi un lusso di fronte a sperequazioni economiche, discriminazioni sul posto di lavoro, crimini d’odio“.2

In realtà, non si tratta di una questione marginale: ciò che diciamo plasma concretamente la realtà ed è in virtù del ruolo performativo del linguaggio che ogni parlante detiene una responsabilità. Il linguaggio determina i confini di ciò che è considerato normale e legittimo. Accettare l’utilizzo di epiteti offensivi e farli propri con leggerezza, equivale ad autorizzare un determinato discorso politico, a legittimare le azioni violente e a farsi complici della diffusione dell’odio.3

La visione degli immigrati-nemici è il frutto di una lunga storia che comprende schiavitù, politiche discriminatorie, dimostrazioni pseudo-scientifiche, propaganda, stermini, crimini contro l’umanità e, in un’ultima istanza, la vergogna dovuta alla consapevolezza del compimento del male radicale, per usare un’espressione di Hannah Arendt. Oggi il fenomeno razzista non si può dire superato. Esso ha trovato altre strade per muoversi liberamente: il linguaggio risulta uno strumento efficace, insieme alle politiche discriminatorie, alla diffusione di false informazioni tra i social media, i social network e la televisione, agli allarmismi su una presunta «emergenza sicurezza» e alla riduzione delle persone a capro espiatorio. In questo scenario, le parole d’odio e i discorsi d’odio smettono di essere neutri. In virtù della pericolosità di questi, porre attenzione a ciò che si dice non è una questione di dettaglio, ma una responsabilità di tutti.

1 Cfr. Giovanni Ruocco, Le razze in teoria: la scienza politica di Gaetano Mosca nel discorso pubblico dell’Ottocento, Macerata: Quodlibet, 2018, pp. 14-15.

2 Claudia Bianchi, Hate speech: il lato oscuro del linguaggio, Bari; Roma: Laterza, 2021, cit., p. 13.

3 Cfr. Claudia Bianchi, Hate speech: il lato oscuro del linguaggio, pp. 13-14.

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