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Seaspiracy: La fine dei Mari

La terra è composta per il 71% da acqua, di cui gli Oceani costituiscono il 96, 5%. I mari della Terra sono ciò che le consente di ospitare la vita, in tutte le sue forme. Le minacce alla salute dell’ecosistema marino, però, sono tante e interamente derivate dall’attività umana.

Se muore l’oceano muore la vita, infatti gli oceani, grazie ad alghe e fitoplancton, assorbono il diossido di carbonio e rilasciano ossigeno. Circa il 50-80% dell’ossigeno totale deriva proprio dall’Oceano.

Sopra e sotto l’acqua

La plastica è diventata l’elemento simbolo dell’inquinamento antropico, ma al contempo è diventata anche l’espediente per spostare l’attenzione dagli altri fattori problematici che intaccano in misura persino maggiore la salute degli oceani. Le isole di plastica sono ormai famose. Nel marzo 2018 The Ocean Clean up ha condotto rilevazioni con un sistema di misurazione a laser ad alta precisione (LiDAR) determinando un’estensione pari a circa 1,6 milioni di km2 con una densità compresa un range tra i 10 e i 100 kg per kilometro quadrato.

I gyres, i punti di incontro delle grandi correnti oceaniche, sono diventati discariche a cielo aperto e soffocano la vita marina. Uno studio condotto di recente dai dottori Song Xikun, della Xiaomen University, e Peng Xiatong, della Chinese Academy of Scences, che hanno guidato una spedizione sul fondo del Mare Cinese ha rilevato la presenza di oasi di rifiuti artificiali, formatesi per accumulo. Si tratta di vere e proprie discariche subacquee.

Dentro l’acqua

Ciò che viene immesso nel sistema idrico del nostro pianeta, però, spesso è invisibile. Fertilizzanti, pesticidi, scarichi industriali, scorie nucleari, fuoriscite di agenti chimici causate da incidenti o da scarichi illeciti o operati ove non vi sono norme sufficienti a tutelare l’ecosistema, dispersioni dovute a pratiche estrattive e altri fattori di degrado contribuiscono alla contaminazione e all’acidificazione delle acque oceaniche.

E questo è un problema globale.

In tavola

Quello che però spesso viene taciuto e che Seaspiracy ha denunciato è che l’impoverimento dei mari e delle loro risorse comincia sulle nostre tavole. Circa il 46% della plastica rivenuta nella Great Pacific Garbage Patch è composta da reti da pesca.

Secondo le stime ogni anno vengono pescati tra i 0,97 e i 2,7 trilioni di pesci, costituendo circa il 3740% del consumo totale dei prodotti di origine animale.

La pesca di frodo costituisce addirittura il 20/30% del pescato globale complessivo. Il 10% del pescato viene rigettato in mare e non raggiunge la tavola. La pesca collaterale di altre specie marine, come cetacei, tartarughe marine o squali, per un totale di 38 milioni di tonnellate, si risolve nell’uccisione e nel successivo abbandono delle carcasse in mare. Rispetto al 1970 la quantità di pesce marino si è ridotta del 38%.

squali martello

Cosa possiamo fare per salvare gli oceani?

Ridurre il nostro impatto sulla salute dell’Oceano è fondamentale per preservare la vita sulla Terra. Come singoli possiamo impegnarci a ridurre la nostra produzione di rifiuti, ma al contempo dobbiamo anche essere consapevoli che il nostro meccanismo di approvvigionamento alimentare è altamente problematico per l’ambiente e gli animali. Ridurre il consumo non basta, soprattutto perchè rimane presente la dinamica per cui attribuiamo diversi valori alla vita che incontriamo. Il più grande cambiamento che possiamo fare per salvare il pianeta è proprio questo: abbandonare questo sistema di approvvigionamento predatorio e riconoscere la dignità della vita e smettere di mangiarla.

n.b. in questo articolo si tiene conto del fatto che una grossa fetta di popolazione mondo non abbia scelta a causa di questioni socio-economiche altamente precarie.

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